Per festeggiare come si conviene questo 8 marzo, oggi vi parlerò di… Streghe!
Abito a Torino, quindi dedicherò questo articolo alle streghe del folkrore piemontese, note come “masche”. Questo termine è diffuso nelle Langhe e nel Roero, nel Biellese, nel Canavese, nelle Valli di Lanzo e in quelle Cuneesi, e anche nell’Alessandrino e nell’Astigiano. Di etimologia incerta, compare in forma scritta per la prima volta nell’Editto di Rotari (prima raccolta scritta delle leggi dei Longobardi) del 643 d.C., con il significato di “strega”: «Si quis eam strigam, quod est Masca, clamaverit».
Benchè siano ignote sia l’origine del termine “masca”, sia la via per cui tale appellativo passò a designare donne dedite a pratiche “stregonesche”, degna di menzione è la possibilità che esso faccia riferimento al concetto di “maschera”. Teniamo presente che la maschera è uno degli oggetti magici della dea egizia Maat, consorte di Thot, dio lunare della conoscenza: laddove lui rappresentava la mano, cioè la parola scritta, lei simboleggiava invece la bocca, cioè la parola pronunciata, intesa come parola di potere in grado di produrre effetti sulla realtà.
Le masche sono donne apparentemente normali, ma dotate di facoltà sovrannaturali tramandate di madre in figlia, da nonna a nipote o, in alcuni casi, tramite lascito volontario ad una giovane donna estranea alla famiglia della “strega”. Quando decidono di averne abbastanza di questa vita, per poter morire devono trasmettere i poteri di cui sono dotate ad un’altra creatura vivente, che spesso è appunto una giovane di famiglia, ma che talvolta può essere un animale o persino un vegetale.
Secondo la tradizione, i poteri delle masche comprendono l’immortalità ma non l’eterna giovinezza o la salute: queste donne sono quindi vulnerabili e soggette alle malattie e all’invecchiamento. I racconti popolari piemontesi le vedono capaci di trasformarsi in gatti (circostanza da cui deriverebbe l’ancestrale diffidenza di queste popolazioni nei confronti dei felini), ma anche in pecore, come si evince dalle tradizioni della Valle Stura, in cui le masche seguono gli ignari viandanti per poi scomparire nel nulla. Possiedono anche la facoltà di tramutarsi in piante o in oggetti, e sono dotate del potere della bilocazione.
Possono far uscire l’anima dal corpo e volare immaterialmente nello spazio, mentre non possono farlo fisicamente; poiché durante il volo magico il corpo resta incustodito e inanimato, la loro attività è quasi esclusivamente notturna, e tale circostanza le riconduce alla categoria delle “sognatrici di potenza”.
Di indole raramente malvagia ma sempre capricciosa, dispettosa e vendicativa, possono anche essere benefiche, guarire malattie e ferite tanto alle persone quanto agli animali, salvare vite in pericolo.
Esistono anche masche “sovrannaturali”, spiriti antichi della natura e dei boschi che fuggono l’umano e che diventano spietate e vendicative se disturbate nella quiete del loro habitat consueto. Questo genere di masca, pur essendo incorporeo, assume gli aspetti più svariati quando deve rapportarsi agli uomini: o donna vecchia e brutta o, per contro, giovane bellissima, ma anche animale selvatico o insetto. Rispetto alle masche “domestiche”, queste creature della natura hanno un potere più grande nel controllo del clima: possono dominare gli elementi e scatenare bufere, temporali, grandinate, nebbie o siccità prolungate.
Le masche piemontesi non sono intimorite dall’elemento religioso; frequentano, anzi, la chiesa, vanno a messa e ricevono i sacramenti come tutte le altre donne della comunità.
In alcune località, soprattutto tra la Bassa Langa e l’Astigiano, accanto alle masche esistono anche i “masconi”, sia pure in numero esiguo. Questi ultimi hanno casualmente ricevuto i poteri da una masca in fin di vita, ma non possono trasmetterli ad altri: ciò spiegherebbe perché le masche appartengano in gran parte al sesso femminile.
Talvolta le masche o alcuni masconi dispongono anche del “libro del comando”, un testo contenente formule e incantesimi in grado di rafforzarne i poteri.
Un tempo gli agricoltori e i montanari usavano attribuire alle masche la responsabilità di avvenimenti negativi o inspiegabili, tanto da affibiare a questi eventi l’appellativo di “mascherie”. Come è tristemente risaputo, le donne additate come masche venivano perseguitate e spesso processate e condannate al rogo dal Tribunale dell’Inquisizione.