Il termine Calendimaggio deriva dall’antichità greco-romana: questa gioiosa festività prende infatti il nome dalle Calende, il primo giorno di ogni mese nel calendario romano, e da Maia, una delle Pleiadi nella mitologia greca, poi divenuta dea della fecondità della Terra presso i Romani, i quali le dedicarono il mese di maggio.
Nel mito ellenico si narra che la bella Maia, figlia di Atlante, destò in Zeus una folle passione; il padre degli dei la sedusse e la rese madre di Hermes, il dio patrono delle conoscenze magiche (dette appunto “ermetiche”). I Romani ripresero il mito, trasformando la dea Maia nella Grande Madre Terra. Il primo di maggio si svolgevano le feste in suo onore, ma i cinque giorni a cavallo tra aprile e maggio erano dedicati anche a Flora, dea dei fiori e degli alberi da frutto, e a Fauna, protettrice dei boschi e degli animali selvatici.
Per i Celti il primo di maggio era Beltane, la festa dei fuochi di Bel, dedicata a Belenos, il dio splendente. Era una festa sfrenata, durante la quale erano concessi liberi accoppiamenti, nei quali ogni uomo era l’incarnazione del dio, ogni donna una dea. Per secoli i fuochi di Beltane fecero salire vertiginosamente il tasso di natalità.
Se amate la musica, vi consiglio di non perdervi la Ballata del Fuoco di Beltane (Huron ‘Beltane’ Fire Dance), suonata dal vivo dalla grande Loreena McKennitt. Cliccate sulla foto dell’artista canadese per accedere al video su YouTube.
Per tutti, Celti, Greci e Romani, era la festa della luce, durante la quale il popolo si riuniva per celebrare con danze e canti la bella stagione; riti propiziatori benedivano le case per favorire ricchezza, fortuna, salute e felicità. Era un giorno dedicato alla divinazione e alla predizione del futuro, alla magia praticata con l’acqua e con il fuoco. All’alba le donne si riunivano e si dedicavano alla raccolta di piante atte a scongiurare i malefici.
Ma non ci sarebbe Calendimaggio senza la notte di Valpurga, popolata da streghe, fate e spettri. Era questa la notte in cui venivano evocate le forze germinatrici della natura, che dovevano portare fertilità ai campi, e in cui gli spiriti dei defunti si accostavano ai viventi per rubare loro il soffio vitale. Le fate uscivano dal folto dei boschi per ammaliare i mortali e portarli nel loro mondo incantato, dal quale era impossibile fare ritorno; le streghe lasciavano i loro antri per catturare qualche vittima da immolare nel Grande Sabba. Ma la luce dei fuochi faceva fuggire fate e streghe e ricacciava i morti nell’aldilà.
Un albero, detto “palo del maggio”, ornato con fiori, nastri e focacce dolci, veniva poi portato in piazza la mattina, simbolo del trionfo della vita sulla morte, del bene sul male, della comunione dell’essere umano con il principio divino. Le danze, i giochi, le rappresentazioni teatrali e i banchetti proseguivano fino a notte, prendendo sovente una piega piuttosto sfrenata.
La Chiesa non tollerava queste feste pagane e operò al fine di renderle innocue. Il 30 di aprile venne così dedicato a Valpurga, una pia monaca inglese (710-778) che aveva lasciato la sua terra per assumere l’incarico di badessa del monastero tedesco di Heidenheim; divenuta santa, veniva invocata da chi si trovava a combattere contro streghe e demoni. Maggio, mese in cui si onorava la Grande Madre, divenne il mese mariano per eccellenza; le rose care a Flora divennero le rose mistiche della madre di Gesù, mentre i canti licenziosi si trasformarono in Cantiche Sacre a Lei dedicate.