Streghe d’Italia – Le masciare lucane

La Basilicata, terra di origine di mia madre, è ricca di suggestioni di natura occulta. In tema di stregoneria, troviamo qui le “magare” o “masciare” (maghe) e la loro controparte maschile, ovvero i “masciari”: a costoro, per rispetto ma anche per paura di ritorsioni nei propri confronti, venivano conferiti gli appellativi amichevoli di “commara” e “compare”. Queste persone erano dotate di particolare levatura intellettuale ma anche di poteri soprannaturali, che utilizzavano a proprio piacimento per conseguire il controllo sulla psiche di soggetti passivi.

Il termine “magara” potrebbe costituire un rimando alla “Megera” (μέγαιρα ovvero “l’invidiosa”) della mitologia greca, una delle tre Erinni o Furie, sorella di Aletto e Tisifone.

Come ha spiegato l’etnologo Ernesto De Martino, il tema centrale della magia rituale lucana è la fascinazione, che in alcuni casi può derivare appunto dall’invidia. Lo studioso definisce la fascinazione come “una condizione psichica di impedimento e inibizione e al tempo stesso un senso di dominazione, un essere agitato da una forza altrettanto potente quanto occulta, che lascia senza margine l’autonomia della persona, la sua capacità di decisione e di scelta”.

La vittima di fascinazione era colta da cefalea, ipocondria e spossatezza, dovute al tipo di rituale che la forza occulta esercitava su di essa. L’agente fascinante poteva essere di natura emozionale e prodursi in maniera pressochè involontaria, come appunto era il caso di uno sguardo invidioso (ciò che è definito “malocchio”), ma poteva altresì derivare da un rituale più o meno ordito, che prende il nome di “fascinazione a morte”.

In Lucania il malocchio è di tre categorie: 1) contro le persone; 2) contro gli animali; 3) contro le abitazioni. Per quanto riguarda le persone, quelle prese di mira sono soprattutto i bambini e gli sposi. Il bambino corre il pericolo di essere guardato con invidia malefica quando sta nella propria culla e per tale motivo vengono posti in essa vari amuleti. Ancora oggi, quando si fanno i complimenti ad un neonato, per evitare che incorra nel malocchio e per far sì che continui a godere di buona salute, si usa aggiungere “Benedica!”, “Dio ti benedica!” o “Dio lo benedica!”: in assenza di queste formule, infatti, il complimento potrebbe essere giudicato di cattivo auspicio.

La “masciara” poteva esercitare la fascinazione su alcuni soggetti ma, al contempo, aveva anche la facoltà di allontanare il malocchio da chi si rivolgesse a lei con questa richiesta. Quasi sempre donna, la fattucchiera conosceva infatti una serie di rituali e preghiere atti ad eliminare la fascinazione. La vittima colpita da sospetto mal di testa veniva portata immediatamente dalla rimediante: costei, attraverso preghiere e segni fatti sulla fronte del malcapitato, riusciva ad immedesimarsi nello stato di malessere dello stesso e, mediante sbadigli e lacrime, determinava se il disturbo che l’aveva colpito fosse dovuto o meno a fascinazione.

Rimedi contro il malocchio

Altri attacchi di natura occulta nei quali si credeva di poter incorrere erano il morso della tarantola ed il licantropismo. Le persone morse da tarantole erano colte da attacchi epilettici e cadevano in stato di incoscienza; si usava curarle a suon di musica, con particolari ritmi che, attraverso la danza, permettevano loro di tornare “normali”.

Vi erano inoltre vari soggetti, alcuni in carne ed ossa, altri di natura eterea, nei quali sarebbe stato meglio evitare di imbattersi. “Ul’pemb” era una persona in preda a delirio che si aggirava per le strade di notte rantolando e urlando, fino ad aggredire poveri malcapitati se non avesse trovato fango o acqua per placarsi. Altra figura in cui sarebbe stato meglio non incappare era la cosiddetta “malombra”, anima in pena che faceva sentire la sua presenza spostando oggetti o facendo rumore. Tra le forze oscure che si aggiravano nei rioni durante la notte, la più temuta era però quella del “munacidd”, ovvero lo spirito di un bambino morto che non aveva ricevuto il battesimo.

C’è un paesino della Basilicata, Colobraro, il cui nome deriva probabilmente da quello latino di un serpente molto diffuso, il “coluber”. Colobraro è stato popolato in passato da una notevole serie di fattucchiere, tanto che lo stesso etnologo Ernesto De Martino ne ha tratto non poco materiale per il suo libro «Sud e magia», in particolare per il capitolo dedicato alla fascinazione ed al malocchio. Particolarmente impressionante risulta l’immagine delle “cattre”, alcune delle quali sono qui ritratte:

Streghe lucane