In considerazione delle nostre radici cristiane, siamo portati a pensare che le luci dell’Albero di Natale rappresentino la Luce dell’Amore e della Redenzione donata al mondo attraverso la nascita di Gesù. Non bisogna dimenticare, però, che il Natale cristiano non è che la rivisitazione di una festa pagana, e che l’Albero di Natale illuminato, in realtà, è quanto rimane dell’antichissimo rito degli alberi del fuoco, un tempo diffuso in molte aree del continente europeo. Racconta a questo proposito il ricercatore Tony Van Renterghen in un sorprendente libro intitolato “Quando Babbo Natale era uno sciamano”:
«Nessuno conosce con esattezza la data in cui l’uomo usò per la prima volta il fuoco, ma si può forse parlare di centomila anni fa. Il fuoco è stato probabilmente scoperto in zone diverse e in epoche diverse, trattandosi perlopiù, ad eccezione del fuoco vulcanico, del risultato di un fulmine. Il mito e i rituali del fulmine e dell’albero in fiamme, che hanno mantenuto vivo il ricordo di questo evento nella mente dell’uomo, potrebbero avere quindi mille secoli.
Che l’uomo si sia spostato a causa del terribile assalto dell’era glaciale o che, provvisto del fuoco, abbia abbandonato le calde zone subtropicali d’origine per spingersi più a nord in Europa o in Asia, resta il fatto che l’inverno era un periodo spaventoso in cui la durata del giorno diminuiva gradualmente, gli alberi perdevano le foglie e il freddo, la neve e il ghiaccio sembravano suggerire la morte imminente del sole e di ogni forma di vita circostante; era un tempo di paura, paura che le forze del male divorassero o distruggessero la luce e il calore apportatori di vita che provenivano dalla grande palla di fuoco nel cielo. Era questa la punizione per aver peccato, per aver rubato il fuoco? Le forze dell’oscurità avrebbero forse per questo distrutto il sole, un po’ come oggi si teme che, avendo abusato della scienza, si sia scatenato il buco nello strato di ozono? Dopotutto, l’uomo era stato in grado di trasferirsi in quelle fredde regioni nordiche solo perchè possedeva fuoco e abiti ma, una volta arrivatovi (soprattutto durante l’ultima glaciazione), deve essersi reso conto che l’inverno era terribile e forse in molti erano morti per il freddo e la neve prima di aver appreso ad acclimatarsi.
Il rito di pacificazione con gli dei, che includeva la restituzione del fuoco rubato assieme ad alcune offerte sacrificali e che veniva svolto appendendo i doni ai rami di un albero sacro e dandolo poi alle fiamme, doveva apparirgli vitale. Come ogni forma di magia, se funzionava, bene; se non funzionava, male non faceva: tutti trascorrevano attimi felici svolgendo il rito ed era sempre possibile bere e mangiare quello che rimaneva delle offerte sacrificali. Quest’ultimo punto era importante, poiché nell’antichità (e anche oggi) quei riti religiosi non erano soltanto occasioni solenni, ma anche momenti di allegra e robusta baldoria in cui si mangiava e si beveva a sazietà, ci si accoppiava e si scacciavano gli spiriti del male.
In tutto questo venne dato un significato speciale a vecchi alberi e a sempreverdi come l’edera, l’agrifoglio e il vischio, che fruttificano in inverno. Queste piante venivano usate per decorare le capanne dei nativi durante le celebrazioni invernali, perchè erano viste come il proseguimento dello spirito della vita e si pensava annunciassero il ritorno del sole. In una lettera scritta nel 601, papa Gregorio il Grande accennava all’usanza locale di costruire dei santuari con rami e ramoscelli attorno ai templi pagani. Il papa consigliava ai vescovi di lasciare che queste popolazioni continuassero a decorare le vicinanze dei templi, ormai divenuti chiese cristiane, in modo da conquistarne più facilmente il cuore e la mente e avvicinarle così al Cristianesimo.
Il vischio era sacro ai greci e ai romani; si pensava nascesse quando i fulmini colpivano gli alberi (senza incendiarli) e rappresentava l’energia vitale (ovvero “energia sessuale”). I Celti chiamavano il vischio la “Ramazza del Tuono” (la ramazza, o scopa, era anticamente considerata simbolo sessuale, poiché richiamava sia i genitali maschili che quelli femminili). Le tribù germaniche ritenevano che chiunque passasse sotto il vischio venisse baciato (benedetto dal potere sessuale) da Freya, la loro dea della fertilità. Oggi, duemila anni più tardi, svolgiamo ancora piccoli riti della fertilità sotto il vischio. […]
Per i greci e i druidi celtici, la quercia (nota per l’attrazione che esercita sui fulmini) era l’albero sacro del fuoco, mentre per le tribù nordiche questo simbolo era rappresentato dall’abete o dal frassino. Qualsiasi luogo scegliamo per studiare le antiche tradizioni, troveremo comunque associazioni rituali con fulmini, alberi o tronchi in fiamme, candele sacre e grandi falò (inclusi riti della fertilità che consistevano nel saltare quei fuochi). […]
Vi sono ormai pochi luoghi in cui si accendono grandi fuochi, magari da una fiamma che può venire creata solo sfregando assieme dei bastoncini o, meglio ancora (secondo la tradizione), rubandola da qualche parte! Il fuoco possiede il potere della fertilità: si danza e si saltano le fiamme, si fa festa e l’attività sessuale aumenta…».