Nel folklore di quasi tutte le regioni italiane sono molto numerosi i racconti che hanno come protagoniste le streghe, mentre rappresentano una nicchia legata ad aree ristrette le storie di vampiri, il cui mito è infatti principalmente diffuso nell’est europeo. Per quanto riguarda l’Italia, è soprattutto sul suolo sardo che, nei secoli passati, hanno preso forma figure leggendarie molto simili ai vampiri, le cui “gesta” sono state tramandate fino ai giorni nostri attraverso i racconti e le dicerie popolari: note come “cogas” (ma in alcune zone conosciute piuttosto come “surbiles” o “surtoras”), queste creature a metà tra streghe e vampiri erano molto temute, perchè usavano tormentare la brava gente di città e villaggi.
Coga è la settima figlia, in una famiglia in cui sono nate sette femmine. Si potevano riconoscere le cogas fin dalla nascita, perchè erano dotate di una piccola coda pelosa sulla schiena. Secondo le credenze sarde, queste creature erano in grado di mimetizzarsi perfettamente con la gente comune, conducendo, almeno di giorno, una vita apparentemente normale. Di notte, però, esse uscivano in gran segreto dalle case per radunarsi nelle campagne e nei boschi e compiere lì strani riti, prima di andare a caccia del loro cibo prediletto, ovvero sangue umano. Durante questi raduni notturni, le cogas potevano tramutarsi in diversi animali: il barbagianni, il gatto e la mosca erano le trasformazioni più comuni, ma non mancavano neppure quelle in serpenti, cani e in qualsiasi animale di campagna. Proprio in forma animale, con il favore del buio, le cogas entravano nelle case per aggredire le persone durante il sonno e succhiare loro il sangue. In passato si diceva che fossero irresistibilmente attratte dal sangue dei neonati non ancora battezzati, ai quali poi toglievano la vita per soffocamento: le inspiegabili morti in culla, insomma, venivano attribuite proprio ai maligni interventi delle cogas. Si diceva anche che le streghe-vampiro lasciassero segni distintivi su quegli individui che invece lasciavano in vita per cibarsi continuamente del loro sangue: se una persona mostrava lividi o graffi sul corpo e non ricordava come se li fosse fatti, allora era opera di una coga.
Fino a metà del secolo scorso, gli abitanti delle campagne erano molto superstiziosi e si adoperavano per scongiurare l’intrusione delle cogas nelle proprie case. Si era scaramantici soprattutto quando in casa c’era una donna in gravidanza: per impedire che il nascituro venisse al mondo sotto il malefico influsso delle cogas, si metteva un treppiede sotto il letto della partoriente e lì lo si lasciava fino al termine dello svezzamento. Si usava inoltre appendere una falce dentata alla porta di ingresso: se la coga avesse tentato di entrare in casa, avrebbe passato tutta la notte a contare i denti della falce, poiché era incapace di contare oltre il numero sette.
C’era anche chi ammirava e agognava i magici poteri delle cogas e per questo cercava di diventare come loro. Esisteva quindi un metodo per trasformarsi in coga, che consisteva nell’andare al cimitero di notte, scoperchiare la lapide di un individuo morto da poco e asportare il grasso dal cadavere. Il grasso doveva essere impastato con il sangue di una fanciulla vergine e con dell’olio santo, quindi spalmato sotto le ascelle e sotto le piante dei piedi. Al calare della notte, la persona che avesse praticato un simile rito si sarebbe certamente tramutata nella spaventosa creatura.
Secondo molti studiosi la figura della coga potrebbe derivare dai resti di un ancestrale culto pagano, in particolare ricorderebbe una divinità sumera divenuta in seguito un demone ebraico, Lilith. In effetti molte sarebbero le somiglianze, sia fisiche che comportamentali, tra la mitologica Lilith e le streghe-vampiro sarde.
E forse c’è qualcosa di vero in questa attribuzione, dal momento che in Sardegna giunsero anche i fenici ed i loro discendenti cartaginesi, che con quelle aree geografiche e culturali avevano più di un contatto. Non bisogna inoltre dimenticare che gli stessi antichi romani erano molto curiosi nei confronti dei culti orientali.
Nel corso dei secoli acquistarono una certa notorietà soprattutto le (presunte) streghe di Villacidro, un borgo molto antico situato nel sud della Sardegna, nel territorio del Medio Campidano. Proprio su questo luogo, infatti, nel XVIII secolo si concentrò l’attenzione dell’Inquisizione spagnola, come attestano alcuni documenti risalenti al 1700 e relativi ad un processo nei confronti di sette streghe, sette donne di Villacidro accusate di praticare arti magiche. In seguito, nel corso dello stesso secolo, altre tre donne furono imprigionate perché tacciate di aver causato con i loro malefici la morte di diversi neonati. Vi sono altre testimonianze del perdurare di questa situazione, tra cui le missive inviate a Roma dall’Arcivescovo di Cagliari dell’epoca, in merito ad un eccessivo ricorso a pratiche superstiziose nell’area meridionale dell’isola. Non è dato sapere che cosa accadde in seguito, ma è facile immaginare l’impatto che l’intervento della Chiesa dovette avere su quel mondo rurale, fatto di poche sicurezze e tante difficoltà.