Fin dall’antichità, molte sono le donne che, nel bene e nel male, si sono rese protagoniste di vicende memorabili, rilevanti anche dal punto di vista storico. Le loro gesta, tuttavia, sono state in gran parte oscurate, o comunque sminuite, se non in alcuni rarissimi casi. Una vistosa eccezione è rappresentata ad esempio dalle gesta dell’affascinante Cleopatra: era però inevitabile che la sovrana egizia divenisse un personaggio di primo piano anche tra le pagine dei libri di storia, dal momento che le sue imprese sono indissolubilmente legate a quelle di due fieri rappresentanti dell’antico mondo romano, ovvero Marco Antonio e, soprattutto, Cesare.
Solo di recente, però, ho scoperto che Cleopatra non fu l’unica regina dei deserti a sfidare in qualche modo il potere di Roma. Le cronache storiche parlano infatti di una sovrana mediorientale che volle rivendicare un ruolo di primo piano in tal senso: conosciuta in occidente con il nome di Zenobia, fu regina di Palmira, città situata nell’attuale territorio siriano, dal 267 al 272 d.C. Le imprese di Zenobia sono ben note agli storici, molto meno al grande pubblico. Poco o nulla di certo, però, si sa a proposito degli ultimi anni della sua vita, e sulle circostanze della sua morte: questa incertezza, provocata da una totale discordanza tra le fonti, ha contribuito a rendere Zenobia una figura evanescente e quasi mitologica, nonostante non vi siano dubbi sulla veridicità delle gesta di questo “fiore del deserto”.
Zenobia (in arabo az-Zabba) nacque a Palmira, città soprannominata “Sposa del deserto”, nel 240 d.C. A quell’epoca l’impero romano attraversava una crisi profonda, causata da una serie di malumori interni, dalla forte pressione dei nemici sia a Ovest che a Est, e da vari tentativi di secessione, come quello che ebbe luogo proprio nel Regno di Palmira, punto nevralgico per i commerci tra Oriente e Occidente e regione a stretto contatto con la Partia, potenza che estendeva il suo dominio dall’Eufrate alla Persia. A quel tempo l’area si trovava sotto il controllo dei sasanidi, subentrati nel 224 alla dinastia degli arsacidi, e storicamente intenzionati a riprendersi i territori orientali caduti in mano romana o a Roma molto legati: tra questi il più importante era appunto il Regno di Palmira, sito sulla Via della Seta e prossimo alle province romane di Siria, Mesopotamia, Cilicia e Arabia.

Fu però grazie all’ardire di una giovane donna che Palmira nel 267 ribadì la propria indipendenza da Roma: in quell’anno Zenobia, autoproclamatasi idealmente discendente della celebre regina d’Egitto Cleopatra, conquistò infatti il potere (che ufficialmente avrebbe poi gestito assieme al figlio Vaballato), dopo aver fatto assassinare il marito e re di Palmira Settimio Odenato, fedele a Roma.
Non esistono sculture o fonti inoppugnabili che possano descriverci l’aspetto di Zenobia, ma la tradizione la descrive come una donna estremamente affascinante, oltre che colta, ardita e preparata in ambito militare. Seppur inizialmente considerata con ammirazione e stima da parte di Roma (che le concesse il titolo di Augusta, riconoscendole il dominio sui territori da lei conquistati a scapito dello stesso impero romano), Zenobia diventò presto una seria minaccia per il suo “sogno delirante di oscurare l’impero romano” attraverso l’unione delle regioni d’Oriente. Oltre ad avere forti mire espansionistiche, Zenobia divenne sempre più una spina nel fianco dell’impero anche a causa di alcune sue azioni eclatanti e provocatorie, come ad esempio battere moneta e camminare per le vie di Palmira avvolta nel manto color porpora tipico delle alte classi romane.
Fu così che l’imperatore romano e valoroso generale Aureliano, salito al trono nel 270, decise di organizzare delle campagne per fronteggiare le ambizioni secessioniste di Palmira, che mettevano a serio rischio il suo dominio sul Vicino Oriente e sull’Asia Minore. Le prime due battaglie, che ebbero luogo ad Immae e ad Emesa, furono vinte dai legionari e cavalieri romani, molto più attrezzati ed esperti rispetto alle truppe palmirene, guidate dal “generalissimo” Zabdas. Gli uomini di Zenobia erano comunque numerosi e indomiti: tra loro spiccavano i “clibanarii”, cavalieri interamente coperti da un’armatura ferrea, così come i loro cavalli. La battaglia decisiva si svolse nel 272 a Palmira e vide Zenobia, che in precedenza aveva rifiutato la proposta di resa da parte di Aureliano, chiedere il sostegno dei sasanidi e in particolare del loro sovrano Sapore I, nel tentativo, ormai disperato, di ribaltare le sorti della contesa. Gli aiuti invocati giunsero a destinazione, ma in misura troppo esigua per poter salvare il Regno di Palmira dal suo destino. La regina fu allora costretta a fuggire in groppa a un dromedario assieme al figlio Vaballato: prossima a guadare l’Eufrate, fu intercettata dai cavalieri romani lungo la strada che l’avrebbe condotta al cospetto del re sasanide.
In seguito la regina ed i suoi fedelissimi furono condotti in catene a Emesa per essere processati. Longino, primo consigliere di Zenobia, fu considerato reo di aver scritto la lettera con cui la regina aveva rifiutato la resa e punito perciò con la morte. Molti altri funzionari, tra cui lo stesso generale Zabdas, furono condannati a morte, mentre Zenobia ebbe invece salva la vita.
A quel punto Aureliano conquistò agevolmente il Regno di Palmira e iniziò a organizzare il ritorno a Roma. In questa circostanza l’imperatore romano dimostrò molto garbo nei riguardi di Zenobia: consapevole dello scarso riconoscimento e forse anche della riprovazione che la cattura di una signora gli avrebbe potuto conferire, decise di legarla con delle catene d’oro, concedendole l’onore delle armi.

La regina del deserto venne poi esibita a Roma come trofeo nel 274, durante le celebrazioni per il trionfo dell’imperatore. Quest’ultimo fu nominato “Restitutor orbis”, Restauratore del mondo, per l’abilità mostrata nel riunificare i territori romani insidiati dai sovrani orientali che desideravano l’indipendenza.
Diversi e discordanti sono i racconti sugli ultimi anni di vita di Zenobia. Secondo alcune versioni, la regina morì poco dopo il suo arrivo a Roma, di malattia, per sciopero della fame o ancora per decapitazione, dal momento che si era rifiutata di riconoscere Aureliano come Imperatore. Di segno opposto è invece il racconto secondo il quale Aureliano, colpito dalla bellezza di Zenobia ma anche dal suo coraggio e dalla sua dignità, avrebbe infine deciso di liberarla concedendole un’elegante villa a Tivoli. In seguito, ormai perfettamente integrata nel tessuto sociale romano, Zenobia avrebbe sposato un senatore e avrebbe avuto diverse figlie, tanto che la sua discendenza sarebbe sopravvissuta fino al quinto secolo.
N.B. L’immagine in testa all’articolo riproduce l’opera “L’ultimo sguardo della regina Zenobia su Palmira” di Herbert Schmalz.