Gli alberi sono un patrimonio preziosissimo per tutta l’umanità, e costituiscono un punto di unione tra la terra e il cielo, con le radici che affondano nel sottosuolo e le fronde protese verso l’alto. L’adorazione per le piante si riscontra in ogni cultura del mondo antico. In Europa, le popolazioni celtiche e germaniche vedevano nei boschi sacri le dimore degli dei; per questa ragione allestivano dei templi a cielo aperto nelle radure, ed erano spietati nei confronti di coloro che non rispettavano le piante: in base alle leggi germaniche, colui che avesse strappato la corteccia di un albero sarebbe stato sventrato e i suoi intestini legati, come una fasciatura, attorno alla pianta ferita. Per i Germani, l’albero sacro per eccellenza era il tiglio, per gli Scandinavi il frassino Yggdrasill, per i Celti la quercia.
Dalle piante venivano ricavati cibo, medicinali, cosmetici, legna per scaldarsi e per costruire, nonché rimedi magici per risolvere qualunque problema. A un certo punto, però, si cominciò a considerare piante e alberi non solo dal punto di vista utilitaristico, ma anche da quello della loro armonia e bellezza. Col tempo si fece allora strada l’idea di “giardino” come luogo in cui poter ricreare un angolo di Paradiso qui, sulla Terra. Il giardino ricordava infatti quel mondo di innocente beatitudine e di contatto col divino in cui si pensava fossero vissuti i primi esseri umani.
In Egitto vi erano pochi alberi, che venivano utilizzati per realizzare oggetti, statue e piccole imbarcazioni. I giardini erano quindi rari, ma così amati da essere raffigurati su pitture e mosaici. Le famiglie più ricche potevano permettersi spazi verdi privati con piante, fiori, vasche con pesci, anatre e ninfee. Al centro di ogni giardino c’era sempre uno stagno, di forma rettangolare o a T, che rappresentava il Nun, l’Oceano Primordiale dal quale era nata la vita. La disposizione delle piante era rigidamente simmetrica in nome di Maat, la dea della Giustizia, che aveva sconfitto il Caos e ristabilito l’ordine cosmico.
In Grecia gli alberi e i giardini erano consacrati agli dei: piccoli parchi e giardini pubblici punteggiavano le città, oltre a circondare le case private. Si adoravano la quercia (emblema di Zeus), il cipresso (caro ad Asclepio), l’ulivo (protetto da Atena), il mirto (sacro ad Afrodite) e l’alloro (simbolo di Apollo). Non era lecito, pena la morte, abbattere le querce di Dodona, da cui i sacerdoti traevano auspici, e i cipressi di Cos; i rami di alloro venivano tagliati solo per ricavarne ghirlande con cui adornare il capo dei vincitori.
Presso gli antichi Romani era sacro il fico di Romolo, posto nel Foro: la vestale Rea Silvia, infatti, aveva lasciato sotto di esso la cesta con i neonati Romolo e Remo, chiedendo alla pianta di proteggere i piccoli; la salute dell’albero era quindi strettamente legata a quella della stessa Roma.
Ritroviamo giardini degli dei in ogni religione. Nella Bibbia, il Giardino dell’Eden era il luogo in cui vivevano i primi esseri umani, non ancora segnati dal peccato originale, in pace con tutto il creato. Vi scorrevano le acque benefiche di quattro fiumi benedetti (il Tigri, l’Eufrate, il Fison e il Gihon), che dividevano la terra in quattro parti uguali. Era un luogo senza violenza, dove il lupo viveva con l’agnello e il leone si cibava di paglia come il bue.
Nella religione di Zoroastro dell’antica Persia, ad accogliere i beati era un giardino pieno di luce, dove si sentivano musiche dolcissime e spirava un vento profumato di basilico, erba sacra per tutta l’area mediorientale. Furono proprio i Persiani a coniare la parola “paradiso”, che deriva da “pairi-daeza”, parco cintato e riservato al piacere.
Per gli Islamici il paradiso è il Giardino delle Hurì, luogo di bellezza, armonia, amore e impareggiabili godimenti: vi sono acque limpide, fiori senza spine, piante ricche di frutti profumati, e non mancano neppure avvenenti fanciulle dai grandi occhi scuri.
E’ un giardino anche Sukhavati, il paradiso buddhista posto nella Terra dell’Ovest, colmo di ogni genere di delizie. Il suo albero più importante è il fico, considerato “Albero del Risveglio” perchè proprio sotto di esso il Buddha ricevette l’Illuminazione.
In questi giardini paradisiaci non esiste tristezza né debolezza, non risuonano mai parole rudi e non si conoscono né il dolore né la morte. Nel corso dei millenni, gli esseri umani hanno cercato in ogni modo di riprodurre questi ideali luoghi dell’anima sul piano fisico, creando giardini dalla forte impronta esoterica, curati in ogni dettaglio all’interno e ben delimitati da mura o recinti, per evidenziarne la distanza rispetto agli spazi deputati alla vita quotidiana e profana. Nella concezione umana, dunque, il giardino è diventato il simbolo di un perimetro iniziatico protetto dai pericoli e dalle insidie della vita terrena, un luogo destinato al riposo dell’anima di individui “eletti”.
Come non ricordare, a questo proposito, la mistica e verdissima isola di Avalon, dominata dal melo, albero che simboleggia l’immortalità. Situata presso Glastonbury, nel Somerset (nel sud-ovest dell’Inghilterra), Avalon appariva e scompariva magicamente, protetta da una fitta nebbia che ne celava la presenza agli occhi dei non-iniziati. Era una terra dal clima sempre mite, e le sue acque avevano il potere di risanare e di mantenere per sempre giovani. Era popolata da tutti gli eroi che non potevano morire, tra cui i cavalieri della Tavola Rotonda e lo stesso Artù: quest’ultimo vi riposa, vegliato da sacerdotesse, in attesa di essere richiamato in vita allorchè l’Inghilterra avrà ancora bisogno del suo re per respingere l’invasore.