Veleni di natura (2)

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Prosegue qui di seguito l’excursus sulle piante velenose più note ed utilizzate, in molti casi, fin dall’antichità:

BrioniaBrionia. Detta anche zucca selvatica, molto diffusa nelle zone incolte, un tempo veniva impiegata come vermifugo e purgativo. Oggi non viene più utilizzata, perchè tossica. Le streghe la chiamavano “rapa del diavolo” e ne usavano la grossa radice per realizzare bamboline da affatturare. Le fate se ne servivano per fare dispetti alle persone che si erano mostrate poco gentili nei loro confronti: chi rifiutava un biscotto o una tazza di latte a una fata doveva aspettarsi, in cambio della sua scortesia, un violento attacco di vomito e diarrea.

Cicuta. E’ una pianta erbacea con fusto coperto da macchiette di colore rosso scuro. Nota fin dall’antichità per le sue proprietà narcotiche e antispasmodiche, passò alla storia perchè fu usata in Grecia per avvelenare i condannati a morte, come successe a Socrate. Se ne è fatto un uso sperimentale in tintura alcoolica contro i dolori del cancro, ma è da considerarsi molto pericolosa poiché contiene la coniina, un alcaloide paralizzante.

DaturaDatura stramonio. Appartenente alla famiglia delle Solanacee, è dotata di fiori molto particolari: bianchi e belli, a forma di calice, emanano però un odore terribile, che ha sempre tenuto lontani da questa pianta sia gli esseri umani che il bestiame. Poichè i fiori della datura si aprono solo di notte, questa pianta è considerata sacra ad Ecate, dea della luna oscura. Un tempo, la datura veniva chiamata “erba del diavolo” o “erba degli indemoniati”, poiché lo stramonio provoca perdita di memoria e aggressività incontrollata. I Celti ne utilizzavano il decotto contro convulsioni e crisi epilettiche. I suoi semi erano invece impiegati in magia perchè, grazie alle loro proprietà narcotiche, inducevano visioni profetiche; poiché inoltre si pensava che fossero afrodisiaci, entravano anche nella composizione di unguenti per l’amore, oltre ad essere utilizzati per realizzare l’unguento del sabba.

DigitaleDigitale purpurea. Pianta utilissima per i cardiopatici se dosata con grande attenzione, può però essere mortale. L’aspetto delle corolle le ha conferito il nome latino per la loro somiglianza con i ditali, anche se esisteva un’espressione popolare per definire la pianta, ovvero “guanti della Vergine”. Il nome inglese (“foxglove”, guanto della volpe) e quello tedesco (“fuchshuf”, cappello di volpe) la associano ad uno degli animali da sempre considerati astuti e infidi. Nella tradizione nordica, questa pianta è sacra alle fate; in Irlanda si crede che le sue foglie possano guarire le malattie provocate dagli spiriti maligni.

Elleboro. E’ velenoso a causa dell’elleborina, che ha azione anestetica e narcotica. Posto sotto l’influsso planetario di Saturno, anticamente era considerato il principale rimedio contro la follia; era utilizzato in stregoneria per rendersi invisibili mentre ci si recava al sabba, o come incenso nei rituali per rovinare il buon nome di qualcuno. I Celti lo chiamavano “erba dei cervi”, poiché se ne servivano per immobilizzare gli animali durante la caccia. Giovanbattista della Porta raccomandava di non piantarlo mai vicino alle viti, perchè avrebbe causato la produzione di un vino velenoso e dal potere abortivo; piantato accanto a zucche, cetrioli e fichi, li avrebbe trasformati in potenti lassativi.

Ginestra (vedi immagine in testa all’articolo). Tossica se ingerita, è una pianta robusta, molto comune anche nelle località di mare. Nel Medioevo era utilizzata per scacciare le streghe: i suoi fiori gialli, posti sotto l’influsso planetario del Sole, erano infatti il simbolo della luce in grado di dissipare le tenebre del male. Ancora oggi i suoi rami vengono usati per fabbricare scope magiche anti-malocchio. Bruciata con incenso prima di un rituale divinatorio, serve a schiarire la mente; tuttavia non è molto amata, perchè produce un fumo irritante e dall’odore davvero sgradevole.

GiusquiamoGiusquiamo. E’ una pianta altamente velenosa e dall’odore pestilenziale, con grosso stelo e fiori a forma di campanula, di colore giallo spento con nervature rosse. Nell’antica Grecia, il giusquiamo nero veniva usato per provocare deliri o stati profetici. In dosi controllate era impiegato come analgesico, in particolare dalla Scuola Salernitana, e il suo uso popolare contro il mal di testa è attestato fino ai primi del Novecento. Nell’Ottocento era molto usato per sedare i pazienti maniacali, procurandone un’immediata perdita di coscienza. Il suo potente veleno, però, era usato soprattutto per uccidere. Nell’Amleto di Shakespeare, il padre del protagonista viene assassinato con succo della pianta versato nell’orecchio. Nel Medioevo le streghe ne preparavano pozioni che provocavano allucinazioni visive e la sensazione di volare: è probabile, quindi, che i viaggi al sabba fossero il risultato dell’assunzione di questa sostanza. Mischiato ad alloro e a bulbi di giglio, serviva inoltre a lanciare fatture sugli animali: il composto veniva chiuso in una pelle di mucca o pecora, a seconda che si volesse far perdere il latte alle mucche o alle pecore del vicinato. Di questa pianta, tuttavia, si conosce anche un uso benefico, finalizzato cioè ad attirare simpatia e fortuna: per tale ragione il giusquiamo è posto sotto l’influsso planetario di Giove.

(continua…)

[Le informazioni contenute nell’articolo sono tratte dal libro «I giardini incantati» di Devon Scott]