Oggi, nel giorno in cui si commemorano i defunti, desidero rivolgere un omaggio ai quei grandi uomini (e a quelle grandi donne) che rappresentano un modello e un esempio insostituibile per l’umanità. Il mio pensiero va a loro perchè ho notato che… hanno la tendenza ad abbandonare abbastanza presto questo mondo. Si tratta di una casualità oppure di una realtà dotata di senso? Per quale motivo proprio queste persone – che sanno come rendersi utili nei confronti degli altri esseri umani, semplicemente tramite il loro lavoro e la manifestazione della loro luminosità interiore – muoiono spesso prematuramente, a causa di una lunga malattia o di un fulmineo infarto? Posso soltanto azzardare delle ipotesi al riguardo. E’ possibile che, tramite la malattia, la loro Anima intenda ripagare velocemente qualche residuo karmico. Mi piace anche pensare (come ho sentito dire da qualcuno) che ci sia tanto bisogno di queste Grandi Anime anche dall’Altra Parte! In ogni caso, stiamo parlando di individui molto evoluti, che conoscono perfettamente il valore del “non attaccamento” alla vita sul piano fisico: questi uomini e queste donne, cioè, sanno – anche se, forse, solo a livello inconscio – di dover restare qui solo fino a quando la loro permanenza dimostra di essere veramente utile… non un giorno di più.
Ho avuto la fortuna di conoscere uno di questi grandi uomini: ematologo di fama internazionale che viveva e lavorava a Torino, possedeva doti psichiche particolari ma, soprattutto, era un gentiluomo, semplice, amorevole, empatico e anche molto simpatico. Mi è stato vicino in un momento per me molto difficile dal punto di vista fisico ed emotivo. E’ morto l’anno scorso, all’improvviso. A lui va la mia eterna riconoscenza.
Voglio, però, dedicare il seguito di questo articolo a uno psicologo e divulgatore spirituale famoso in tutto il mondo grazie ai suoi libri, frutto di profonda e ispirata amorevolezza: sto parlando di Wayne W. Dyer, deceduto nel 2015 dopo aver convissuto per alcuni anni con una leucemia linfatica cronica.
Recentemente, ho trovato in rete un brano tratto da uno dei suoi libri. Il tema affrontato è quello del “non giudizio”. Si sente spesso affermare che, percorrendo la Via del Risveglio, sia necessario imparare a non giudicare: l’autore però ci ricorda, con la consueta grazia ma anche con fermezza e un pizzico di ironia, che eliminare del tutto il giudizio non è possibile, e che occorre affrontare la questione con un sano equilibrio. Ho ripreso il brano, tagliandone però alcune parti per renderlo più “snello”. Ecco ciò che scrive Dyer:
«Puoi eliminare la tendenza a dare la colpa agli altri. Puoi liberarti dal desiderio di vendetta. Ma quanto al giudicare, il massimo che puoi fare è ridurne la presenza nella tua vita. È impossibile evitare completamente di giudicare, perché in realtà ogni pensiero contiene un elemento di giudizio. Dire che oggi è una bellissima giornata è un giudizio. Trasmettere affetto a qualcuno è un giudizio. Valutare una persona o una cosa è un giudizio. Perciò puoi evitare completamente di giudicare solo quando non pensi, e sarebbe assurdo volerlo fare. Puoi però ridurre significativamente la quantità di giudizi negativi che dai, e questa forma di perdono migliorerà radicalmente la qualità della tua vita.
La prima cosa da ricordare è che i giudizi non cambiano nulla o nessuno nell’universo. Il fatto che non ti piaccia una certa persona o che reagisca negativamente a un certo comportamento non cambia la persona o il comportamento in questione.
Ti invito a tenere a mente che quando giudichi un’altra persona, non definisci l’altro ma te stesso. I giudizi dicono qualcosa solo su di te. Non definiscono la persona che viene giudicata. Una volta che te ne renderai conto, comincerai a sostituire la tendenza a giudicare con l’accettazione, vale a dire tradurrai il perdono in azione. Quando accetti gli altri non sei più soggetto alla sofferenza che si accompagna al giudicarli. Perdonare significa solo correggere le tue impressioni errate. In realtà non vi è nulla da perdonare, tranne te stesso per il fatto di aver incolpato e giudicato.
Questi tre atteggiamenti, colpevolizzazione, desiderio di vendetta e tendenza a giudicare, sono abiti mentali fortemente radicati. Si sviluppano in una cultura in cui l’individuo si fa vanto di incolpare sempre gli altri di ciò che gli accade, e intenta incessantemente cause invocando l’idea di «giustizia», e traggono origine dall’abitudine di instillare pensieri di vendetta fin dall’infanzia, giustificandoli con l’idea che la ritorsione sia «soltanto giusta», patriottica o equa. Eppure è un comportamento estremamente autolesionista e irresponsabile, certo non illuminato! Ed è molto stupido, tanto per dare un giudizio! Ogni qualvolta ti senti trascinato a questo tipo di atteggiamento ricorda a te stesso che finirai per esserne tu la vittima. Un tale comportamento ti mantiene in uno stato di torpore spirituale. Non puoi vivere in modo armonico ed equilibrato quando permetti a un altro di dettarti pensieri e azioni. Non puoi vivere un’esistenza spirituale e piena d’amore quando condanni e giudichi gli altri o sei posseduto da sentimenti di vendetta. L’illuminazione richiede che ti assuma la responsabilità della tua vita. Responsabilità significa letteralmente “rispondere con abilità”; e naturalmente ciò è impossibile se sei paralizzato dall’odio, dal rancore e dal desiderio di vendetta.
Prova a considerare la vita di alcune delle figure più ammirate della storia. Chi è stato dominato dall’ossessione della vendetta ci ha trascinato in una guerra dopo l’altra, che hanno portato morte e distruzione indiscriminata in nome del rancore e della colpevolizzazione. Come si può dare un contributo positivo al mondo e sintonizzarsi sulla forza dell’amore quando si è occupati dall’idea della vendetta? Impossibile.
Ascolta le parole di chi ammiri e invece di qualificarti con l’etichetta di cristiano, ebreo, musulmano, buddista o altro, sforzati il più possibile di emulare concretamente Cristo, Dio, Buddha e Maometto, ma soprattutto accedi alla tua Anima, fai pace con lei, con il tuo Vero Sé e il tuo Vero Maestro Interiore. Non c’è altro, il fuori è una tua estensione».