Per non dimenticare: la storia di Irena Sendler

Il 27 gennaio è il giorno dedicato alla Memoria delle vittime dell’Olocausto. In occasione di questa ricorrenza, voglio raccontarvi la storia di una donna straordinaria, della quale soltanto ora sono venuta a conoscenza. Irena Sendler era il nome di questa donna, deceduta nel 2008 all’età di 98 anni.

Irena Sendler

Irena Krzyzanowska (questo il suo nome da nubile) era un’infermiera e assistente sociale di nazionalità polacca. Era nata nel 1910 in una famiglia progressista, in una cittadina abitata da molti ebrei. Divenuta militante socialista, nel periodo tra le due guerre combattè con ogni mezzo l’antisemitismo che regnava allora nelle università polacche. Successivamente all’invasione della Polonia da parte delle truppe naziste, Irena riuscì ad ottenere un permesso per entrare nel Ghetto di Varsavia, con il pretesto di un’indagine sulle condizioni sanitarie: i tedeschi, infatti, temevano che nel ghetto potesse esplodere un’epidemia di tifo. In realtà, i piani di Irena erano ben altri: con coraggio e astuzia, si mise al lavoro per far uscire dal ghetto il maggior numero possibile di bambini e, alla fine, furono circa duemilacinquecento quelli che lei riuscì a salvare. Nascondeva i bimbi in sacchi di iuta o in cassette degli attrezzi che poi caricava sul suo camioncino; inoltre, aveva un cane cui aveva insegnato ad abbaiare ai soldati tedeschi quando entrava e usciva dal ghetto: i latrati del cane coprivano i rumori provocati dai bambini e le consentivano di muoversi con relativa tranquillità. In quest’opera, Irena era appoggiata da Zegota, un’estesa organizzazione che si impegnava ad affidare i bambini ebrei fuoriusciti dal ghetto a famiglie cattoliche. Quando fu arrestata dalla Gestapo, Irena riuscì a sopportare le torture senza confessare la sua appartenenza a Zegota; nel frattempo, il capo dell’organizzazione trovò un’ingente somma di denaro di cui si servì per corrompere i tedeschi e ottenere così la liberazione di Irena.

Per non perdere traccia dei bimbi ebrei che erano stati sottratti alle famiglie d’origine, Irena annotò puntigliosamente tutti i loro nomi in un registro che seppellì, chiuso in un barattolo di vetro, ai piedi di un albero nel suo giardino. Dopo la guerra, tentò di ritrovare i genitori dei bambini portati in salvo, al fine di riunire le famiglie: la maggior parte di essi, però, aveva trovato la morte nei campi di sterminio. I bimbi salvati da Irena, dunque, furono adottati oppure ospitati in case di accoglienza.

Negli anni del dopoguerra, in Polonia si parlò ben poco dell’impresa di questa donna: gli eroi, infatti, dovevano essere maschi, comunisti e armati; quanto alle donne, si pretendeva che fossero rigidamente monogame: Irena, però, non rispondeva a tale requisito, poiché aveva tradito il marito e, alla fine della guerra, si era anche permessa di divorziare. Nel 1965, gli israeliani conferirono a questa donna eroica la medaglia di Giusta tra le Nazioni. Tuttavia, pur essendo stata proposta per ricevere il Premio Nobel per la Pace, Irena non è mai stata selezionata, e la sua commovente storia è passata praticamente inosservata per moltissimo tempo. Soltanto nel 1999, quattro ragazze del Kansas hanno finalmente riportato alla luce l’eroismo di questa grande donna grazie all’allestimento di uno spettacolo teatrale intitolato “La vita in un barattolo”.

E allora… duemilacinquecento volte grazie, Irena! E grazie a tutti coloro che, in ogni tempo e in ogni luogo, scelgono di tenere alta la Bandiera del Coraggio e dell’Amore, anche se tutto il resto del mondo corre follemente in direzione contraria.

Irena Sendler
A chi le chiedeva di parlare del suo coraggioso operato in favore dei bimbi del Ghetto di Varsavia, Irena rispondeva: “Avrei potuto fare di più”.