Le donne di Barbablù

A molte donne, anche se adulte e apparentemente forti e indipendenti, capita di instaurare delle relazioni con quelli che vengono a buon diritto definiti “predatori psichici”. So per esperienza quanto sia difficile riconoscere questi personaggi per ciò che realmente sono. Tuttavia, se una donna tende a ripetere più volte un’esperienza di questo genere, oppure se non riesce ad allontanarsi da un predatore pur avendone scoperto le reali intenzioni, significa che la vita la sta invitando a gran voce a lavorare sui “buchi neri” che affliggono la sua stessa interiorità. «Barbablù» è un’antica fiaba trascritta da Charles Perrault nel XVII secolo, dalla quale emerge il legame di intima “complicità” che viene ad instaurarsi tra vittima e carnefice. Quella che segue è la storia di Barbablù e delle sue mogli, raccontata per sommi capi.

Un uomo ricco e crudele dotato di una minacciosa barba blu ha avuto sei mogli che sono improvvisamente scomparse. Decide di sposarsi nuovamente e con tale intento si rivolge a tre sorelle: due lo rifiutano per via del suo aspetto fisico per nulla piacente; la più giovane invece, blandita con promesse di ricchezza e benessere e superata perciò l’iniziale diffidenza, lo sposa e diviene padrona della sua magnifica residenza. Non passa molto tempo che Barbablù annuncia alla moglie di doversi assentare per questioni di lavoro. Prima di partire, egli la guida attraverso i lunghi corridoi dell’abitazione, mettendole a disposizione ogni cosa e consegnandole il mazzo con tutte le chiavi della casa. La giovane donna è libera di andare dappertutto, tranne che nella camera segreta aperta da una piccola chiave che Barbablù le mostra. Dopo diversi giorni dalla partenza del marito, spinta dalla molta curiosità, decide tuttavia di entrare nella stanza proibita, dove la attende una macabra scoperta: i corpi e le ossa delle precedenti mogli di Barbablù. Terrorizzata, lascia cadere la chiave che si sporca di sangue: cerca di pulirla in ogni modo ma tutti i suoi sforzi sono vani, poichè la chiave è fatata. Al suo ritorno, per prima cosa, Barbablù si fa riconsegnare il mazzo di chiavi: la chiavetta macchiata, che testimonia la disobbedienza della moglie, provoca in lui una furia incontenibile. La sorte della ragazza è segnata, tuttavia l’uomo le concede qualche minuto di raccoglimento per raccomandare l’anima a Dio prima dell’esecuzione. Approfittando del poco tempo a disposizione, la giovane corre a chiamare la sorella Anna, anche lei ospite nella villa, implorandola: “Sorella Anna, monta, ti prego, in cima alla torre per vedere se vengono i miei fratelli: mi promisero di venire oggi stesso, e se tu li vedi, fa’ loro segno che si affrettino.” Barbablù, però, inizia a gridare così forte da far tremare tutta la casa. La povera donna discende e gli si getta ai piedi implorante. L’uomo la prende per i capelli e, impugnato un coltellaccio, è ormai pronto a tagliarle la testa. All’improvviso, però, qualcuno bussa alla porta con tale veemenza che Barbablù si arresta. Dopo aver sfondato la porta, fanno irruzione due cavalieri: sguainate le spade, essi si avventano su Barbablù e lo passano da parte a parte lasciandolo morto. Barbablù non aveva eredi e così la moglie rimane padrona assoluta di tutte le sue ricchezze: le porterà in dote a un nuovo marito, un uomo molto per bene che finalmente la renderà felice.

La moglie di Barbablù

Nel libro “Donne che corrono coi lupi“, Clarissa Pinkola Estés ha interpretato in chiave psicanalitica alcune notissime fiabe che hanno come protagoniste delle giovani donne. L’autrice fa notare che il personaggio di Barbablù rappresenta l’uomo problematico, anaffettivo e spesso anche violento di cui alcune donne si innamorano. Sin dagli albori della relazione, questo individuo lancia dei precisi segnali del suo essere “predatore”. Tali segnali, però, vengono ignorati dalla “donna-preda”, la quale si convince che il partner non sia poi così problematico: per dirla con le parole della protagonista della fiaba, “la sua barba non è poi così blu”. All’inizio la fanciulla è diffidente, ma basta poi un piccolo piacere o la promessa di una vita meravigliosa ad annebbiare totalmente il suo intuito. La protagonista del racconto avrebbe potuto ascoltare le sorelle maggiori che tentavano di metterla in guardia, ma alla fine non lo fa. Allo stesso modo, una donna ingenua può scegliere di dare credito alle parole di un uomo anaffettivo che le promette un Paradiso impossibile, piuttosto che fare affidamento sulla saggezza del proprio istinto: nella relazione con il predatore avverte un falso senso di libertà perchè costui le impedisce di vedere quanto sia distruttivo il loro legame.

Barbablù dice alla sua sposa: “Fa’ tutto quello che vuoi ma non usare questa piccola chiave”; similmente, il predatore proibisce alla donna di usare la sua consapevolezza. Ma quando la natura ingenua comincia a maturare, la donna inizia a farsi delle domande, a comprendere che se c’è qualcosa di segreto o di proibito, bisogna guardarci dentro. E la chiave, minuscolo simbolo della vita, comincia a sanguinare senza smettere, a urlare che qualcosa non va. Una donna può fingere di non vedere le devastazioni della sua esistenza (così come la protagonista della fiaba che, terrorizzata, richiude la porta degli orrori), ma la perdita dell’energia vitale continuerà finché non riconoscerà il predatore per quello che è. Possiamo dire quel che vogliamo e mostrare al mondo la facciata più sorridente di cui disponiamo ma, dopo aver visto la terribile verità della stanza della morte, non possiamo più far finta che non esista.

Le ossa delle donne uccise da Barbablù rappresentano qualcosa che attiene in maniera indelebile alla nostra psiche, un’intima consapevolezza che non potrà mai andare distrutta. Non abbiate paura, dunque, di osservare gli scheletri che abitano i vostri armadi interiori, perchè proprio partendo da quelli potrete ricostruire la vostra esistenza su basi ben più realistiche e solide. Per l’ingenua e per la donna dall’istinto leso, la cura è la stessa: esercitarsi ad ascoltare l’intuito, la voce interiore, porsi domande, vedere quel che si vede, ascoltare quel che si sente e poi agire in base a quel che si sa essere vero.